Con sentenza n. 26139/2013, depositata il 21 novembre 2013, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha negli effetti suggellato la costituzione di rapporti di pubblico impiego per i lavoratori inseriti da un Ente locale nella rispettiva struttura istituzionale, tramite l’instaurazione di fatto di rapporti di lavoro subordinato.
In forza della predetta sentenza n. 26139/2013 della Corte di Cassazione, sulla scorta del precedente accertamento di merito compiuto dalla Corte territoriale, è stata confermata la costituzione di rapporti di pubblico impiego nei confronti di un cospicuo numero di lavoratori di fatto ingaggiati dal Comune interessato per sopperire a carenze d’organico e senza corresponsione della rispettiva contribuzione.
In via esemplificativa, sono risultate di pubblico impiego, e dunque da equiparare ai rapporti di lavoro subordinato dei dipendenti di ruolo svolgenti la stessa attività nell’ambito dell’Ente locale, le posizioni “esterne” degli operatori addetti al CED, dei prestatori da destinare alla ripartizione tecnica dell’amministrazione comunale o a quella dell’ufficio tributi ed alla ripartizione finanze, degli addetti alla ripartizione tecnica ed alla definizione delle pratiche per il condono edilizio, con inserimento dei contraenti all’interno di un procedimento istituzionale del Comune, degli addetti alla conduzione dell’impianto acquedotto, al servizio autoparco e nettezza urbana, con inserimento organico all’interno del servizio pubblico e con mezzi e strumenti dell’Ente destinatario delle prestazioni, le posizioni dei conducenti di autobus e di coloro che avevano stipulato convenzioni per i prelievi e per l’analisi batteriologica dell’acqua.
Nella pronuncia indicata, la Corte di Cassazione ha preso le mosse dai principi in materia di rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
La Suprema Corte, segnatamente, ha ribadito che «per rapporto di pubblico impiego si intende il rapporto in cui un soggetto, il prestatore di lavoro, rende professionalmente e continuativamente la propria prestazione lavorativa alle dipendenze della pubblica amministrazione e per il raggiungimento delle finalità cui è tenuta la stessa, ricevendo, quale corrispettivo della prestazione, una retribuzione predeterminata. Le caratteristiche del lavoro pubblico vengono individuate in presenza di alcuni specifici indici rilevatori, quali la natura pubblica dell’ente datore di lavoro, la continuità del rapporto continuativo con l’amministrazione, l’esclusività e prevalenza dello stesso, la correlazione con i fini istituzionali dell’ente, la retribuzione predeterminata, la subordinazione gerarchica e lo stabile inserimento all’interno dell’organizzazione dell’ente (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 7 marzo 2001, n. 1291). Quanto alla natura pubblica dell’ente, non si tratta sempre di un criterio discretivo di facile identificazione, tale carattere essendo negato, ad esempio, per le società cessionarie di un pubblico servizio o le società commerciali costituite con capitale pubblico. La continuità implica che il prestatore di lavoro sia tenuto ad instaurare un rapporto continuativo con l’amministrazione e che la sua attività non si limiti alla mera esecuzione di singole opere, così come, con riferimento agli elementi della esclusività e prevalenza della prestazione lavorativa in favore dell’amministrazione, l’impiegato è tenuto a svolgere la propria prestazione in via esclusiva o comunque prevalente in favore dell’ente ed in correlazione con i fini istituzionali dello stesso. La contrattualizzazione del rapporto, pur trasferendo la disciplina dal rapporto pubblico a quello privato, non ha, tuttavia, inciso sulla caratteristica del rapporto di lavoro che sorge in seno all’amministrazione, costituita dall’essere funzionalmente collegato al raggiungimento dei fini istituzionali dell’organizzazione amministrativa. L’indicato processo di “privatizzazione”, che ha trovato il suo compimento nel d. lgs 165/2001, ha, poi, inciso anche in termini di instaurazione del rapporto di lavoro, che non implica necessariamente l’emanazione di un provvedimento autorizzativo da parte dell’amministrazione-datore di lavoro, rilevando la volontà della pubblica amministrazione di inserire stabilmente ed in modo continuativo il soggetto all’interno della propria organizzazione per lo svolgimento della prestazione lavorativa».
Per converso, secondo la Cassazione, «non rilevano l’eventuale mancanza di un formale atto di nomina e la circostanza che il suddetto rapporto non sia caratterizzato dalla stabilità (Cass. Sez. Un. 3 febbraio 1995 n. 1318 e Cass. Sez. Un. 7 luglio 1993 n. 7445)», né può affermarsi «l’esistenza di un impiego privato» laddove il lavoratore non sia stato inserito «non già nella struttura dell’ente, ma in un’organizzazione separata ed autonoma, gestita con criteri di imprenditorialità», ovvero non sussista un’ipotesi in cui «la qualificazione privatistica del rapporto sia espressamente prevista dalla legge (v., fra le tante, Cass. Sez. Un. 9 agosto 1996 n. 7338, Cass. s. u. 13.5.1998 n. 4823, Cass. 3.5.2005 n. 9100)».
Ed ancora, nella richiamata pronuncia la Corte di Cassazione ha avuto modo di rimarcare la distinzione tra «impiego pubblico» ed «incarico professionale», ravvisandone l’elemento discretivo nella «subordinazione gerarchica», intesa non quale subordinazione «meramente tecnico-funzionale, cioè strumentale allo svolgimento della prestazione lavorativa», bensì quale subordinazione che «trova origine nella struttura gerarchica degli uffici nei quali si articola l’organizzazione degli apparati amministrativi».
Non meno importante, sempre sul piano dei principi, è infine la conferma dell’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., in tema di prestazione di fatto, anche al pubblico impiego. Secondo la Suprema Corte, infatti, «un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico non economico, per i fini istituzionali dello stesso, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, rientra nella nozione di impiego pubblico e non impedisce la applicazione dell’art. 2126 cod. civ., con conseguente diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico “regolare”».

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Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.