Mediante la sentenza n. 27846/2013, depositata il 12 dicembre 2013, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno statuito il principio di diritto secondo cui «a norma dell’art. 39, primo comma, cod. proc. civ., qualora la medesima causa venga introdotta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, rispetto alla causa identica precedentemente iniziata, anche se questa, già decisa in primo grado, penda davanti al giudice dell’impugnazione».
Secondo le Sezioni Unite, dunque, «la litispendenza opera anche nel caso in cui le cause aventi ad oggetto la medesima domanda si trovino in gradi diversi», con la conseguenza che, anche in tale caso, il giudice successivamente adito dovrà dichiarare con ordinanza la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo.
Per suffragare il proprio orientamento, il Supremo Collegio prende le mosse dal dato normativo di cui all’articolo 39, comma 1, c.p.c., a tenore del quale «se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo». Secondo le Sezioni Unite, «tale disposizione […] non consente di nutrire dubbi in ordine al fatto che la litispendenza possa operare anche allorquando la stessa causa sia stata proposta in due giudizi, uno dei quali si trovi in grado di appello. Anzi, proprio il riferimento alla esistenza dell’obbligo per il giudice che rilevi la litispendenza di dichiararla, e di disporre la cancellazione della causa dal ruolo, sembra presupporre la assoluta indifferenza del grado di giudizio ai fini della necessità che si proceda alla dichiarazione della litispendenza da parte del giudice successivamente adito, non potendosi neanche escludere che, a causa della mancata eccezione delle parti sul punto nel precedente grado di giudizio e in assenza di elementi idonei ad evidenziare la esistenza di una situazione di litispendenza, la causa successivamente adita sia quella pendente in appello, sicché potrebbe essere anche tale giudice a dovere adottare i provvedimenti di cui all’art. 39, primo comma, cod. proc. civ.».
La conclusione che precede, scolpita nella richiamata sentenza n. 27846 del 12 dicembre 2013, viene fatta discendere dalla funzione dell’istituto della litispendenza. Tale istituto, si legge nella sentenza, «è, infatti, espressione della regola, sovraordinata al sistema del processo, secondo cui de eadem re ne bis sit actio».
Aggiunge, inoltre, la Suprema Corte che «l’identità delle domande proposte in due giudizi diversi impone al giudice successivamente adito la pronuncia, anche d’ufficio, della litispendenza e la cancellazione della causa dal ruolo, ma non consente la sospensione del giudizio successivamente instaurato in attesa della definizione del primo, ove questo sia pendente in appello o in sede di legittimità, ovvero ancora quando siano pendenti i termini per la proposizione della impugnazione. Invero, il rapporto tra le due cause, in quanto identiche, non può giammai operare sul piano della pregiudizialità logico-giuridica. Si potrebbe ipotizzare che la sospensione della causa successivamente proposta allorquando per la medesima causa è pendente altra controversia in grado di appello risponda alla necessità di verificare che il giudizio preventivamente instaurato si concluda con una decisione di merito, consentendosi, quindi, la riattivazione del processo sospeso allorquando quello precedentemente instaurato si concluda con decisione in rito, divenuta definitiva. Ma si tratta, all’evidenza, di una torsione dell’istituto che né la lettera dell’art. 39, primo comma, cod. proc. civ., né ragioni di ordine sistematico possono giustificare, desumendosi, sia dal tenore testuale della richiamata disposizione, sia dalle finalità cui l’istituto è preordinato, una indicazione nel senso della obbligatoria cancellazione dal ruolo, previa dichiarazione di litispendenza, della causa successivamente proposta, ancorché quella precedentemente instaurata sia pendente in grado di appello o in cassazione».

Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.