Deve essere dichiarato illegittimo il licenziamento per scarso rendimento intimato al lavoratore adibito a mansioni incompatibili con le sue ridotte capacità lavorative.

Ha affrontato il tema la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza 14 luglio 2017, n. 17526.

Nel caso di specie, la società datrice di lavoro – già condannata nel merito alla reintegrazione ed al risarcimento dei danni nei confronti della lavoratrice illegittimamente licenziata – proponeva ricorso per Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2727, 2729 e 2697 cod. civ., (a suo dire) per non avere la sentenza d’appello ritenuto assolto l’onere della prova riguardante lo scarso rendimento addebitato alla lavoratrice licenziata, «pur essendo pacifico (oltre che confermato in via testimoniale e documentale) che l’intimata produceva appena il 10% dei pezzi prodotti dai suoi colleghi […] adibiti alle stesse mansioni di saldatura a punti mediante assemblaggio su macchine manuali, mansioni che l’ASL 1 di Venosa aveva, il 12.10.07, confermato essere ergonomicamente compatibili con le ridotte capacità lavorative» dell’interessata.

Secondo la Suprema Corte, un siffatto motivo si risolve in una «operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. […]».

Ma il punctum dolens – espresso in relazione al motivo della rivendicata assenza di colpa, per l’esclusione o la riduzione del risarcimento del danno – è rappresentato dalla circostanza secondo cui «la colpa della ricorrente nell’avere adibito l’intimata a mansioni incompatibili con le sue ridotte capacità lavorative è stata verificata in punto di fatto, con accertamento non sindacabile in sede di legittimità, dalla Corte territoriale in base alla certificazione proveniente dall’Ambulatorio di Medicina del Lavoro dell’Ospedale S. Carlo di Potenza e al responso del Collegio Medico dell’ASL attivato dalla società medesima ex art. 5 legge n. 300 del 1970».

« – ribadisce la Corte, riportandosi sul punto all’accertamento effettuato dai giudici di merito – risponde al vero […] che le mansioni di saldatura a punti mediante assemblaggio su macchine manuali (che richiedono una più elevata soglia di attenzione ed acutezza visiva) siano praticamente identiche a quelle su macchine automatiche (solo queste ultime erano state ritenute compatibili dal Collegio Medico)».

Ed infine, precisa la Cassazione, «sempre la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto che anche il confronto con il rendimento degli altri addetti alle stesse mansioni è stato falsato dall’essere stato eseguito rispetto a lavoratori tutti normodotati operanti nel medesimo reparto, il che ha fatto ulteriormente risaltare il minor rendimento di chi, come l’odierna intimata – lavoratrice monoculare con impianto di protesi all’occhio destro quale conseguenza di un infortunio sul lavoro patito nel 1994 – […] già non era in condizioni di svolgere le mansioni che la società ricorrente le aveva illegittimamente assegnato noncurante delle sue ridotte capacità lavorative».

In ragione di quanto precede, il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, teso a far valere la legittimità dell’intimato licenziamento per scarso rendimento, è stato rigettato.

* Autore immagine: 123RF.

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Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.