Mediante la ordinanza 21 luglio 2017, n. 18110, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione VI, ha ribadito, nei confronti dei docenti scolastici assunti a tempo determinato, i principi di non discriminazione e parità di trattamento discendenti dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE.

Nel caso di specie, la Corte di appello di Torino aveva respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva riconosciuto il diritto dei ricorrenti, docenti assunti con ripetuti contratti a tempo determinato, alla progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato, e condannato il Ministero a corrispondere ai predetti le differenze stipendiali in ragione dell’anzianità maturata.

La Corte territoriale, sulla scorta del principio di non discriminazione scolpito nella clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, aveva riconosciuto il diritto degli istanti, svolgendo le seguenti considerazioni: «– le condizioni di impiego, rispetto alle quali sussiste il divieto di discriminazione, comprendono in conformità con quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo e, quindi, anche gli scatti di anzianità riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato, non essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito ‘non di ruolo’ quanto la specialità del sistema del reclutamento scolastico; – la clausola 4, in quanto precisa ed incondizionata, impone la disapplicazione del diritto interno, ed in particolare delle clausole del contratto collettivo che escludono per gli assunti a tempo determinato qualsiasi rilevanza dell’anzianità maturata in forza di precedenti contratti a termine (disapplicazione che va, però, limitata ai rapporti a tempo determinato succedutisi – come nell’ipotesi in esame – senza rilevante soluzione di continuità e di durata tali da coprire, pressoché integralmente, l’anno scolastico)».

Investita del ricorso in Cassazione da parte del MIUR, la Suprema Corte lo ha rigettato riportandosi alla propria pregressa giurisprudenza ed alle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea: «come già osservato da questa Corte (Cass. 7 novembre 2016, n. 22558, Cass. 23 novembre 2016, n. 23868; Cass. 29 dicembre 2016, n. 27387, Cass. 5 gennaio 2017, n. 165; Cass. 10 gennaio 2017, n. 290 alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto del tutto condivise), l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato ‘condizioni di impiego’ che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato ‘comparabile’, sussiste […] a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacché detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono ‘norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela’ (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32)».

Osservano i giudici di legittimità che «la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C-268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5) […] “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42)».

D’altro canto, aggiunge la Cassazione, «la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C-302/11 e C-305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C-393/11, Bertazzi)».

Nella fattispecie, in virtù del diritto eurounitario e del carattere di fonte del diritto con efficacia erga omnes rivestito dalle pronunce della Corte di Giustizia, la Cassazione ha escluso che potessero ricorrere giustificazioni oggettive idonee a derogare ai principi di non discriminazione e parità di trattamento, avendo peraltro il Ministero ricorrente «fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità».

Di conseguenza, è stato definitivamente suggellato il diritto dei docenti scolastici interessati alla progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato ed alle correlative differenze stipendiali in ragione dell’anzianità maturata.

* Autore immagine: 123RF.

blank
Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.