Mediante la sentenza n. 241/2017, depositata il 20 novembre 2017, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 1a. Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 47 del 22 novembre 2017, la Corte Costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 152, ultimo periodo, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111».

Ai sensi dell’art. 152, ultimo periodo, disp. att. c.p.c., si ricorda che la parte ricorrente «a pena di inammissibilità del ricorso», prima dell’intervento della Corte Costituzionale, era tenuta a formulare «apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».

In particolare, nel giudizio di costituzionalità è venuta in discussione l’eccessiva gravosità della sanzione dell’inammissibilità, tacciata di integrare una «penalizzazione irragionevole e sproporzionata, a fronte di un mancato adempimento di rilevanza meramente formale, ed eccedente rispetto al fine perseguito dal legislatore».

Il controllo di costituzionalità è stato condotto nella specie onde riscontrare se fosse stato o meno superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute dal legislatore, attraverso la verifica che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non fosse stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.

Secondo la Consulta, «l’ultima parte dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., oggetto di censura, deve essere letta congiuntamente alla previsione del capoverso immediatamente precedente, introdotto dall’art. 52 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che stabilisce che il giudice, nei giudizi per prestazioni previdenziali, non può liquidare spese, competenze ed onorari superiori al valore della prestazione dedotta in giudizio».

Aggiunge la Corte che «la stretta correlazione che lega i due periodi è esplicita e la ratio sottesa al complessivo intervento normativo va ricercata nell’esigenza di evitare l’utilizzo abusivo del processo che, in materia previdenziale, veniva spesso instaurato per soddisfare pretese di valore economico irrisorio, al solo fine di conseguire le spese di lite».

Entrambe le disposizioni esaminate, dunque, miravano a deflazionare il contenzioso bagatellare, ma quella recante previsione di non liquidare le spese in misura superiore al «valore della prestazione dedotta in giudizio» è stata ritenuta dal Giudice delle leggi «di per sé sola già idonea a perseguire pienamente lo scopo».

Ecco, allora, che la Consulta effettua un vero e proprio bilanciamento di interessi, giacché «l’obiettivo di evitare la strumentalizzazione del processo, attraverso la sanzione di inammissibilità, va bilanciato con la garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale e della sua effettività».

Ed è proprio all’esito di detta valutazione che la Corte ha ritenuto «le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inammissibilità non […] adeguatamente bilanciate dall’interesse ad evitare l’abuso del processo che è già efficacemente realizzato dalla disciplina introdotta dalla novella di cui all’art. 52 della legge n. 69 del 2009».

In ragione di ciò, la Corte Costituzionale ha ravvisato che «l’eccessiva gravità della sanzione e delle sue conseguenze, rispetto al fine perseguito, comporta […] la manifesta irragionevolezza dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., ultimo periodo» (secondo cui: «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo»), facendone seguire declaratoria di incostituzionalità della disposizione de qua.

* Autore immagine: 123RF.

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Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.