Si consolida l’orientamento nomofilattico secondo cui deve essere ritenuto legittimo il licenziamento intimato per incremento del profitto.

Mediante la ordinanza 18 luglio 2019, n. 19302, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha dato continuità all’orientamento secondo cui «il giustificato motivo oggettivo si sostanzia in ogni modifica della struttura organizzativa dell’impresa che abbia quale suo effetto la soppressione di una determinata posizione lavorativa, indipendentemente dall’obiettivo perseguito dall’imprenditore, sia esso, cioè, una migliore efficienza, un incremento della produttività – e quindi del profitto – ovvero la necessita di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese straordinarie» (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 15.02.2017, n. 4015; 24.05.2017, n. 13015; 02.05.2018, n. 10435; 23.05.2018, n. 12794).

Nel caso di specie, il datore di lavoro ricorrente, già soccombente nel merito (in primo ed in secondo grado), vedeva accolto il proprio ricorso in Cassazione nel motivo relativo alla «violazione o falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 604/1966».

Mediante il motivo in questione si denunziava il contrasto della pronuncia impugnata, emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, con il principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «anche le ragioni dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, che determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un posto di lavoro, possono legittimare il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo».

Chiariscono gli Ermellini che la giurisprudenza della Corte, «a partire da alcuni arresti dell’anno 2016 (Cass. sez. lav. 20.09.2016, n. 18409; 28.09.2016 nr. 19185) e, con dichiarato intento nomofilattico, con l’arresto del 7.12.2016 nr. 25201, ha superato il proprio precedente orientamento secondo cui le «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa» che giustificano il licenziamento ai sensi dell’articolo 3 L. 604/1966 consisterebbero nella necessità di far fronte a «situazioni economiche sfavorevoli non contingenti» o a «spese straordinarie» […]».

Secondo la Corte, in particolare:

«Il controllo in sede giudiziale della sussistenza del giustificato motivo si sostanzia […]:

– in primo luogo, nella verifica della effettività e non pretestuosità della ragione obiettiva, per come dichiarata dall’imprenditore (sicché ove lo stesso datore di lavoro abbia motivato il licenziamento sulla base di situazioni sfavorevoli o spese straordinarie la mancanza di prova delle medesime produce la illegittimità del licenziamento non già perché non integranti in astratto il giustificato motivo obiettivo ma perché in concreto si accerta che il motivo dichiarato non sussiste ed è pretestuoso; cfr. Cass. Civ. sez. lav. 15.2.2017 nr. 4015);

– di poi, del nesso causale tra la ragione accertata e la soppressione della posizione lavorativa (in termini di riferibilità e coerenza del recesso rispetto alla riorganizzazione)».

Proprio sulla scorta dei suddetti principi, la Suprema Corte ha censurato la impugnata sentenza, «laddove a fondamento dell’accoglimento della impugnazione del licenziamento ha posto la assenza di prova di «una congiuntura sfavorevole non meramente contingente e influente in modo decisivo sull’andamento della attività, tanto da imporre la risoluzione del rapporto di lavoro», così richiamando il principio rispetto al quale le pronunce sopra richiamate hanno segnato un percorso di discontinuità».

In virtù di quanto precede, è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro, pure a fronte di «una costante riduzione dei ricavi che, per quanto potesse apparire di minima entità, era di una certa rilevanza per una ditta di piccole dimensioni (quasi euro 13.000 nell’arco temporale 2008-2010)».

Il licenziamento, in buona sostanza, secondo la accolta prospettazione del ricorrente, è risultato rientrare nell’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, in considerazione della diminuzione del volume d’affari e dell’andamento negativo dei ricavi aziendali.

La sentenza impugnata è stata dunque cassata e la causa rinviata alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

* Autore immagine: 123RF.

Clemente Massimiani

Clemente Massimiani è Avvocato Giuslavorista nel Foro di Catania, Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro Europeo e più volte riconosciuto in ambito accademico Cultore della materia di Diritto del Lavoro, con una pluriennale esperienza in materia di Diritto del Lavoro privato e pubblico, Consulenza d’impresa, Relazioni Industriali, Diritto Sindacale e Diritto Previdenziale.